7 luglio 2014
 Cosa sta accadendo e cosa accadrà in Iraq: gli Stati Uniti hanno perso il Fronte
mediorientale stefano.dandre a
 Risparmi, proposta choc degli scienziati «Macché province, aboliamo le Regioni»
 Senato, Regioni, Province; cosa eliminare? Ugo Boghetta
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Cosa sta accadendo e cosa accadrà in Iraq: gli
Stati Uniti hanno perso il Fronte mediorientale
stefano.dandre a on June 26, 2014
Sommario: 1. La versione ufficiale semplificata e distorta; 2. L’ISIS e Al Qaeda; 3. L’ISIS e il partito Baath
clandestino di Izzat Ibrahim Al Douri; (4. Scenari;5. Il ruolo dei Curdi; 6. Il ruolo degli Stati Uniti.)
1. La versione ufficiale semplificata e distorta.
I media ufficiali diffondono la notizia che l’ISIS o ISIL, che spesso affermano superficialmente essere affiliato ad
Al Qaeda, rientrato in gran parte dalla Siria, avrebbe conquistato importanti città e province irachene.
Gli “antimperialisti” nostrani e stranieri (antisionisti e anti-statunitensi anziché italiani patriottici) i quali, con il
chiaro ruolo di tifosi-spettatori, in medio oriente affidano il loro desiderio di indebolimento degli Stati Uniti e di
Israele al triangolo Iran-Assad-Nasralllah (ora con l’appendice iraniana Al-Maliki), si affannano a diffondere e
sostenere la versione, come sempre semplificatissima e quindi falsa, propagata dei media ufficiali, osservando che
L’ISIS sarebbe un fantoccio statunitense (“si guardi attentamente come la BBC copre gli avvenimenti in Iraq e
saprete chi c’è dietro tutto ciò”).
In realtà le cose sono un po’ più complesse. Molto più complesse.
2. L’ISIS e Al Qaeda
Al Qaeda è ormai da molto tempo una sigla, che designa piu’ che un network, un centro strategico dotato, fino ad
ora, di una notevole autorevolezza nella galassia dell’internazionale islamista e quindi di una capacità di comando.
Questo centro strategico è sostenitore da sempre di un salafismo anti-Saud, perché nasce proprio in risposta al
tradimento dei Saud. Infatti, in occasione della prima guerra del Golfo, i Saud anziché affidare la difesa
dell’Arabia Saudita da una possibile invasione dell’Iraq ad Osama Bin Laden – che, a quel tempo, ospite alla corte
dei Saud, aveva ingiunto al ministro degli esteri di non consentire l’istallazione di basi statunitensi in Arabia
Saudita e di affidare la difesa a se stesso, mettendo a sua disposizione un esercito di 60.000 uomini – preferirono
consentire l’installazione di basi militari statunitensi in Arabia Saudita. Oggi nella galassia comunemente
denominata Al Qaeda si distinguono “il nucleo originale di Al Qaeda” “gruppi affiliati”, “gruppi alleati” e “reti
che sono ideologicamente ispirate da al Qaeda”.
L’obiettivo finale di questo centro strategico, finora autorevole, della internazionale islamista è la ricostituzione
del Califfato, composto da emirati aperti, appunto, al Califfato. In questo disegno i Saud non avrebbero il loro
Emirato ma dovrebbero essere rovesciati.
Tuttavia, quando si lancia una guerra secolare come quella promossa dal gruppo di Osama Bin Laden e Al
Zawahiri, non tutti gli avvenimenti vanno come si vorrebbe. In particolare, può accadere e nel nostro caso è
accaduto, che alcune formazioni combattano per anni, ottengano vittorie o pareggi contro potenti eserciti stranieri,
dimostrino di avere capacità militari, di reperimento dei fondi, di saper attrarre consenso e giovani guerrieri
volontari, di generare capi carismatici. E questi capi o comunque gli alti comandi del gruppo, possono avere una
strategia diversa da quella di chi inizialmente ha lanciato la guerra secolare per la ricostituzione del Califfato. E’
ciò che è accaduto all’ISIS, un tempo ISI, ossia Stato Islamico in Iraq.
Lo Stato islamico in Iraq nasce nel 2004 con il nome di “Jama’at al-Tawhid wal-Jihad”, “organizzazione del
monoteismo e del Jihad”. L’aggressione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti e la guerra contro la resistenza baathista
è l’occasione che fornisce all’internazionale islamista per la ricostituzione del Califfato la possibilità di partecipare
a una seconda importante guerra (dopo quella afghana) e di attrarre nelle sue fila giovani islamisti da ogni parte
del mondo.
Inizialmente la resistenza irachena è essenzialmente baahtista. La resistenza infatti era stata preparata, anche con
ingenti immagazzinamenti di armi, già nel 2000 dalla direzione del partito Baath. Ancora nel settembre del 2005,
chi era ben informato sullo svolgimento della guerra di liberazione, dichiarava : “Al momento attuale abbiamo
molti gruppi differenti che lottano contro l’occupazione coloniale americana, e queste organizzazioni hanno
caratteri ideologici diversi e comprendono forze progressiste, gruppi religiosi, nazionalisti, ma la organizzazione
principale resta quella del partito Baath. Quanto ai legami di queste organizzazioni tra loro, posso dire che vi è
una forte coordinazione e collaborazione.
Se la resistenza è stata preparata, come si spiega la proliferazione dei gruppi religiosi islamici?
Durante una guerra di liberazione è molto importante che nella lotta contro l’occupazione vengano mobilitate
tutte le forze. Tutte le esperienze hanno mostrato che quando si tratta della liberazione di un paese tutti i tipi di
ideologie e di indirizzi vi prendono parte; per esempio, nel Vietnam, contro l’occupazione degli americani sono
scesi in campo i buddisti. Quanto all’Iraq, noi stiamo lottando contro il più pericoloso colonialismo mai visto
nella storia dell’umanità, e poiché non abbiamo aiuti dall’esterno, le circostanze hanno obbligato tutte le forze ad
unirsi fra loro per garantire la liberazione dell’Iraq. Le organizzazioni islamiche stanno lottando fianco a fianco
con le forze progressiste e con quelle laiche, e questo è quantomai importante e necessario per cacciare
l’occupazione imperialista ”. La stessa fonte, tuttavia, in quella medesima occasione, ammetteva che l’arma
strategica della resistenza irachena, quella che stava sancendo la vittoria della resistenza medesima, erano gli
attacchi suicidi: “La faccenda dei combattenti suicidi non si limita alle organizzazioni islamiche; anche
organizzazioni del partito Baath effettuano delle operazioni suicide. Questo tipo di azione è l’arma più efficiente
nelle mani della resistenza irachena: essa costituisce l’arma irachena di distruzione di massa, in grado di agire
come deterrente contro le forze americane che occupano il paese e di sconfiggerle. La resistenza irachena
impiega armi semplici, mentre i suoi avversari hanno armamento altamente sofisticato, come caccia a reazione,
carri armati, missili, e tecnologia moderna. Pertanto, le uniche armi che ha la resistenza per neutralizzare tale
tipo di superiorità sono le operazioni suicide. Vorrei ricordarle che questo tipo di operazioni è stato usato anche
dalle Tigri vietnamesi e tamil, come pure dalle organizzazioni palestinesi”.
Tuttavia, gli shahid, ossia i combattenti suicidi, l’arma strategica della resistenza, non erano un’arma della quale i
baathisti disponessero in gran quantità. Al contrario gli islamisti e in particolare l’ISI, formazione
dell’internazionale islamista, ne disponevano senza limiti. Questa è certamente una delle ragioni per le quali, con il
passare del tempo, la “resistenza islamista” e in particolare quella dello Stato islamico in Iraq (ISI) andò
rafforzandosi continuamente e finì per attrarre molti giovani combattenti iracheni: in guerra, coloro che sono
coerenti ed efficaci ottengono seguito; e chi dispone di uno, due, tre uomini al giorno che si lanciano in attacchi
suicidi ha una efficienza micidiale ed è coerente fino all’estremo limite pensabile. Il medesimo fenomeno, è il caso
di osservare, si è ripetuto tra il 2012 e il 2013 in Siria, dove la lotta armata era stata promossa da organizzazioni
legate alla fratellanza musulmana, siriane e poi straniere. Tuttavia, dal momento della battaglia di Aleppo,
l’internazionale salafita islamista, incarnata dalla formazione di Jabhat al Nusra, è entrata prepotentemente nello
scenario di guerra. I combattenti di Jabhat al Nusra, tramite camion bomba guidati da shadid, in un solo giorno e
con un solo morto , riuscivano a far sloggiare le basi e le postazioni dell’esercito siriano, le quali fino ad allora
resistevano pe mesi, e provocavano tra i combattenti islamisti nazionalisti della fratellanza (e in mercenari inviati
dal Qatar) numerosissime vittime. Anche in questa occasione abbiamo assistito ad un enorme travaso di giovani
combattenti (siriani e accorsi da ogni parte del mondo) dalle fila delle originarie formazioni verso Jabhat al Nusra.
La resistenza baathista. pertanto, si trovò davanti un secondo “nemico”, ulteriore rispetto agli eserciti statunitensi,
“nemico” che fino ad allora combatteva al suo fianco sia pure per un obiettivo diverso e con nemici parzialmente
diversi (tutti gli sciiti, anziché soltanto i militari e i poliziotti collaborazionisti) .
Ma vi è di più, nel 2007 la resistenza irachena si convinse di tre idee che sono state cosìefficacemente riassunte in
tre punti:
“Il primo è che l’influenza iraniana rappresenta un pericolo maggiore rispetto all’occupazione americana,
poiché quest’ultima cesserà prima o poi, mentre l’influenza iraniana è permanente, ed interferisce con gli
equilibri sociali, confessionali e demografici dell’Iraq.
Il secondo dato è che, mentre le forze sciite possono godere del sostegno militare, finanziario e politico iraniano, i
paesi arabi circostanti appaiono indecisi e poco determinati a sostenere la corrente sunnita, fatto che determina
un’assenza di equilibrio regionale tra sunniti e sciiti.
Il terzo dato concerne il fatto che opporsi a due occupazioni contemporaneamente – quella americana e quella
iraniana – non è né realistico né praticabile. Ciò spinge a puntare al nemico più pericoloso – l’influenza iraniana
– stabilendo invece una tregua con l’altro nemico – gli Stati Uniti – e spinge, anzi, a ricorrere a quest’ultimo al
fine di rovesciare a proprio vantaggio gli equilibri militari, politici e di sicurezza”.
“Sulla base di queste convinzioni è nato il progetto dei “Consigli del Risveglio” sunniti, che è stato ‘smerciato’
agli americani ad opera di ex comandanti della resistenza irachena e di leader tribali, ed è stato adottato
dall’amministrazione americana; e non viceversa”. I consigli del risveglio avevano il compito di combattere “Al
Qaeda”, ossia l’internazionale islamista, che in Iraq aveva la forma dell’ISI; contestualmente i sunniti avrebbero
partecipato alle elezioni provinciali.
La frazione del partito Baath che faceva capo a Izzat Ibrahim Al-Douri, non entrò nei Consigli del Risveglio,
decise di non combattere gli islamisti dell’ISI e alla fine del 2008invitò i sunniti a disertare le elezioni provinciali.
Pertanto dalla fine del 2007 l’esercito degli stati uniti fu combattuto quasi esclusivamente dall”ISI e da altre
formazioni islamiste nazionali. L’Esercito degli Uomini dell’Ordine di Naqshbandi, esercito dei dei Sufi iracheni,
pienamente nazionalisti, che faceva riferimento ad Al Duri, fu tra le poche formazioni non islamiste (anzi
fieramente antislamiste) a continuare a combattere gli Stati Uniti. Su quest’ultimo punto tornerò, perché è
decisivo.
Lo Stato islamico in Iraq può dunque vantare un grande titolo di onore (nei confronti di altre formazioni
dell’internazionale islamista): quello di aver combattuto in Iraq contro gli sciiti (tutti avversati dall’ISI), contro i
consigli del risveglio e contro gli statunitensi e di aver pareggiato mantenendo il controllo di alcuni territori.
Questo titolo, comprovato da migliaia di filmati che su youtube mostrano le operazioni militari complesse che ha
compiuto, nonché le centinaia e centinaia di shahid, che erano il perno delle operazioni di attacco, conferisce
evidentemente all’ISIS una tendenza all’autonomia strategica e tattica non accettata da Al Zawahiri.
Infatti, in occasione dell’entrata dell’ISIS in Iraq, Al Zawahiri aveva definito l’intervento come un “disastro
politico” per Al Qaeda ed effettivamente ISIS e il Fronte di Jabhat Al Nusra si sono scontrati in numerose
occasioni. Al Zawahiri, il 3 maggio di quest’anno, ha ordinato all’ISIS di rientrare in Iraq. L’ISIS ha però rifiutato
di ubbidire, replicando: “Lo Sheikh Osama ha unito tutti i mujahedeen con una sola parola, ma tu (al-Zawahiri,
ndr) li stai dividendo”, ha detto Adnani, il portavoce dell’ISIS, con un riferimento al fondatore di al-Qaeda Osama
bin Laden. Il portavoce dell’Isis ha quindi chiesto a Zawahiri di sostituire il leader di al-Nusra Abu Mohammed al-
Jolani affermando: ”o continui con gli errori e la testardaggine, o ammetti i tuoi errori e li correggi. Hai reso i
mujahedeen tristi e li hai resi nemici sostenendo il traditore (Jolani, ndr), ci hai fatto sanguinare il cuore. Sei tu
che hai istigato il conflitto e tu lo dovresti estinguere”. Secondo L’ISIS Al Nusra non sarebbe sufficientemente
determinato e le tattiche molli che adotterebbe ne farebbero di fatto una specie di “alleato” di Assad.
Può ben essere che rientrando in Iraq per la conquista di Mosul e di e altre città irachene, l’ISIS abbia alla fine a
suo modo obbedito, ma ha comunque mantenuto il controllo di alcuni territori siriani.
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Risparmi, proposta choc degli scienziati
«Macché province, aboliamo le Regioni»
La Società geografica italiana: sono enti artificial
ROMA — Su un punto il nuovo e ingovernabile Parlamento italiano potrebbe votare addirittura
all’unanimità. L’abolizione delle province è nel programma di tutti i partiti. La chiede Beppe Grillo, la
invocano Pdl e Lega, che pure avevano frenato sul taglio proposto dal governo Monti, e anche Pierluigi
Bersani l’ha infilata tra gli otto punti sui quali cercare disperatamente una maggioranza. Eppure se dalla
politica la parola passa agli scienziati, la cartina d’Italia dovrebbe cambiare in un altro modo. La
«proposta per il riordino territoriale dello Stato» arriva dalla Società geografica italiana, associazioni di
studiosi che promuove la ricerca in questo campo. In sintesi: abolizione di tutte le Regioni, anche di
quelle a statuto speciale. Accorpamento delle province, che scendono dalle oltre 100 di adesso a 36. E
trasferimento di tutte le competenze delle vecchie regioni alle nuove maxi province, che diventano
l’unico gradino intermedio tra il Comune e lo Stato.
«ENTI ARTIFICIALI» – Ma perché difendere le province, che almeno a parole tutti vogliono
cancellare, e spostare il mirino sulle Regioni? È vero che pesano molto meno sul bilancio dello Stato: 11
miliardi di euro l’anno contro i 182 miliardi delle Regioni anche se con la loro abolizione si
risparmierebbero in realtà solo gli stipendi dei politici e quindi molto meno. Ma non è questo il punto
secondo la Società geografica: «Le Regioni sono enti artificiali — dice il presidente Franco Salvatori —
perché nascono come semplici compartimenti statistici per aggregare dati». E il professore sa bene di
cosa parla. La cartina delle Regioni venne disegnata verso la fine dell’800 da Cesare Correnti, primo
presidente proprio della Società geografica. «Poi — racconta ancora Salvadori — durante l’Assemblea
Costituente vinse l’idea del regionalismo di Sturzo. E non sapendo come tradurla in pratica si andò a
ripescare quella vecchia ripartizione statistica». Confini artificiali e artificiosi, insomma. Senza una vera
ragione storica, senza una tradizione culturale o economica a dare corpo e anima a quelle linee
disegnate sulla cartina.
«TERRITORIO A MOSAICO» – E non si può dire forse lo stesso per le province? «No, perché il
territorio italiano è un mosaico di città. Ed è intorno alle città che si è sempre organizzata la vita delle
persone». Un tempo si diceva che la provincia è quel territorio che può essere coperto in una giornata di
cavallo. Oggi al cavallo bisogna sostituire la macchina. Ed è per questo che la cartina studiata dalla
Società geografica è molto spinta. Anche più di quella del governo Monti, approvata in consiglio dei
ministri e poi lasciata morire in Parlamento, che lasciava in piedi il doppio delle province, un settantina
in tutto. Nella proposta dei geografi Milano si unisce a Pavia, Brescia forma un terzetto con Verona e
Mantova, Pisa e Livorno finiscono sotto lo stesso tetto con l’aggiunta di Lucca, Massa, Carrara e La
Spezia. Roma si fonde con Viterbo e Rieti, Napoli con Caserta, mentre Abruzzo, Umbria e Basilicata
diventano di fatto province.
PREVISIONI – Un puzzle molto diverso dalla cartina d’Italia come la conosciamo oggi, anche, perché
possono essere messe insieme anche province che appartengono a regioni diverse, visto che le regioni
non ci sono più. Resta da capire che fine farà questo lavoro. «Noi — dice il presidente della Società
geografica — vogliamo dare il nostro contributo di esperti. Le province sono considerate più aggredibili
perché con gli anni sono state svuotate delle loro competenze. Ma a ben vedere sarebbe più sensato
cancellare le Regioni. Naturalmente sarà la politica a decidere quale delle due strade prendere». Sempre
che non resti ferma davanti al bivio.
Lorenzo salvia
corriere della sera 21 marzo 2013
Senato, Regioni, Province; eliminare?
Ugo Boghetta
Nella Commissione del Senato stanno votando la modifica al ruolo del Senato stesso. A sinistra si
pensa che sia un attentato alla democrazia. Così si è anche detto della soppressione delle Province.
Io non lo penso affatto. Penso invece che la sinistra manchi di un progetto di trasformazione delle
istituzioni democratiche e dello Stato e questo la porta a critiche banali, a luoghi comuni..
ciò che non è certo accettabile è la motivazione della soppressione o cambiamento: i costi della
Politica. E che tutto ciò venga fatto per accontentare la pancia del popolo e trasformare la
sacrosanta critica della politica in qualunquismo: “che tutto cambi perchè nulla cambi”.
È in questo senso che l’impostazione di Renzi è anti-democratica, così come lo è l’italicum.
La semplificazione degli istituti democratici per i cittadini è invece una cosa positiva poiché in
questo modo si hanno più possibilità di comprensione e controllo. In secondo luogo,
l’organizzazione dello Stato, oltre ad essere semplice, dovrebbe essere anche efficace e la
proliferazione delle istituzioni non aiuta. Al contrario sarebbe utile una proliferazione di istituti
popolari di base di controllo ed indirizzo. Questa è la battaglia che dovrebbe fare una sinistra
radicale.
In merito al Senato, non a caso, al tempo dei costituenti la sinistra voleva il monocameralismo.
Al contrario penso che la sinistra di quei tempi si sbagliò sulle Regioni, ma era giustificata
dall’obiettivo di costruire dei contro-poteri al governo centrale cui non poteva accedere.
A conti fatti le Regioni sono risultate: dei baracconi magia soldi, inutili sul piano pratico, lontane
dalla percezione dei cittadini; tranne alcune che affondano le loro radici nella storia. Se c’era
un’istituzione da eliminare dopo il Senato queste erano dunque le Regioni e non certo le Province.
Un geografo già decenni fa parlò:”conchiglie vuote sul piano identitario” tant’è che sono state tirate
sempre in un verso o nell’altro: proliferazioni di micro-regioni o enunciazione di macro-regioni;
vedi la Fondazione Agnelli prima e la Lega Nord poi. Le modifiche del titolo V, per altro, non
hanno creato federalismo e vicinanza ai cittadini. In realtà questa trasformazione avvenne per
ampliare privatizzazioni e liberalizzazione attraverso il “federalismo dei deficit”. Che poi un paese
come l’Italia abbia la necessità di due livelli legislativi: Camera-Senato e Regioni, e che ora abbia
bisogno di una Camera degli enti locali, appare il frutto del solito bizzantismo italiota.
La disaffezione alle Regioni è visibile anche nel PRC. Il regionale è né più né meno che un
coordinamento delle Federazioni, ma noi facciamo congressi regionali, eleggiamo CPR!?
Un riordino dell’assetto istituzionale e di tutto l’apparato statale è invece necessario e deve tener
conto dei cambiamenti avvenuti nel sociale quanto a livello globale.
Per gestire la fase globalizzazione/post-globalizzazione, crisi dell’Europa, crisi economica,
industriale, sociale, democratica è necessario uno centro statale forte, efficace, credibile. Sono le
masse popolari che ne hanno bisogno. Gli altri ceti lo hanno conformato a propria immagine e
somiglianza; da qui il lasciar fare, la cialtroneria. Inoltre solo uno Stato forte ed efficace consente
l’esistenza di enti locali altrettanto forti e un conflitto e una partecipazione che non siano impotenti,
frustrati e frustranti.
Penso, dunque, che l’uscita dalla crisi, la necessità di nuovi paradigmi sociali, economici,
ambientali, l’attuazione della Costituzione, devono passare inevitabilmente per una conquista e una
trasformazione radicale dello Stato. L’Italia ha una necessità storica di rivoluzione: Quella
rivoluzione che la borghesia italiana non è mai stata in grado di fare. E si vede!
Questa necessità deriva anche dal fatto che un’altra Europa non può che essere confederale,
multipolare, euro-mediterranea e deve per forza ripassare per la riconquista della sovranità
nazionale e per il rilancio della sovranità e del protagonismo popolare.
Fatte queste molto sommarie considerazioni, ho trovato assai interessante lo studio della Società
Geografica Italiana che qualche tempo fa ha presentato una proposta di riordino degli enti
territoriali.
La proposta riguarda la sostituzione delle 140/150 fra Regioni e Province con 36 dipartimenti
risultanti dall’aggregazione intercomunale secondo criteri di competitività, sostenibilità ambientale,
innovazione socio-culturale che tengono conto di come i passati decenni hanno cambiato l’Italia.
Dice la presentazione:”Siamo in presenza di un’esplicita sfida istituzionale che impone la
ridefinizione dei sistemi amministrativi: e che perciò richiede una nuova immaginazione geografica,
prima che politico-istituzionale, il cui obiettivo sia il perseguimento di fini collettivi,
coinvolgendo processi non solo economici, ma sociali e ambientali. Non solo efficienza economica,
ma coesione sociale, inclusione, integrazione multi-attore”.
Non conosciamo i criteri di valutazione e quindi non abbiamo i dati che stanno alla base delle
proposte di riordino, tuttavia va apprezzato lo sforzo di porre la discussione su basi che hanno una
qualche velleità scientifica.
È dunque una proposta discutibile ma utile per una sinistra che volesse approfondire, studiare,
capire. E far politica.